Sunday, October 3, 2010

Lucio Stellario d’Angiolini

Lucio Stellario d’Angiolini
Un’altra prassi urbanisticaa cura di Federico Acuto
Libreria Clup, Milano 2004


recensione di Stefano Recalcati

Lucio S. d’Angiolini, Propensione ecologica del territorio milanese al 1985, 1965.

Lucio S. d’Angiolini e Vincenzo Donato, Stazione unificata Garibaldi-Repubblica

1987 





La locuzione “città diffusa”, mera descrizione di uno stato di fatto, “in nulla aiuta ad individuare strumenti, modi, metodi di controllo né tantomeno di sviluppo”.
Entrata nel gergo comune ad indicare la crisi della città contemporanea, in cui la crescita incontrollata dell’insediamento è direttamente proporzionale alla perdita di identità dei singoli contesti, pone oggi diversi interrogativi sulla cultura urbanistica e amministrativa che, a partire dagli anni Cinquanta, non ha saputo, (voluto?) cogliere per tempo, e indirizzare, attraverso il governo della “tendenza insediativa”, i segnali di una trasformazione sociale in atto programmandone gli effetti nel medio-lungo periodo.
Il libro curato da Federico Acuto, ordinato in tre capitoli: “un’altra prassi urbanistica”, “la politica degli interventi”, “la strategia di città policentrica lombarda” raccoglie una serie di scritti di d’Angiolini di difficile reperibilità. L’antologia, con un saggio introduttivo del curatore dal titolo “ragioni di un incontro”, ha il merito di fornire, già dal titolo, un altro punto di vista (troppo spesso trascurato dalla storiografia urbanistica ufficiale) sulle “questioni della prassi urbanistica”, sullo “sviluppo della società” e, quindi, sul “farsi delle città”.
Ingegnere, formatosi prima alla scuola romana di Fermi e poi al Politecnico di Milano, Lucio Stellario d’Angiolini (1918-1995) è figura alquanto atipica della cultura urbanistica italiana.
Intellettuale di stampo gramsciano, “impegnato” già dagli anni Cinquanta ad affrontare (nella professione) e dibattere (in convegni e seminari) i temi della cultura urbanistica nella ricerca di una sintesi dialettica tra la “pianificazione” e “l’attuazione” degli interventi, d’Angiolini si pone i problemi della trasformazione del territorio come problemi della “gestione”, fondando sulla “prassi” un nuovo modo di fare urbanistica come scienza sperimentale di tipo galileiano.
Questo tipo di approccio è la lente con cui leggere le esperienze vissute a partire dagli anni Cinquanta, dove, leader nella Lega dei Comuni Democratici dell’”intorno vitale di Milano”, propone come obiettivo della nuova dimensione della città il “policentrismo lombardo” anziché la “metropoli lombarda”.
Gli studi sulle interrelazioni dei quattro parametri macrourbanistici (popolazione, reddito e, con principale ricaduta sul terreno urbanistico, mobilità e tendenza insediativa) nella ricerca di una “coerenza regionale” lombarda lo portano, poi, a proporre nuovi ruoli per i “poli di secondo ordine” (Bergamo, Como, Pavia, Novara, Piacenza, ecc.) sui quali fondare il futuro sviluppo della città policentrica lombarda, contrastando la tendenza insediativa centripeta dell’area metropolitana milanese. Sono di allora le proposte per lo sviluppo della rete di canali navigabili nella pianura padana (a servizio delle industrie di base e pesanti), seguite da quelle per un servizio ferroviario regionale che permetta spostamenti rapidi da polo a polo, che trova nel Passante di Milano (dove vengono privilegiate solamente le due stazioni terminali urbane di Garibaldi-Repubblica e P.ta Vittoria) tutta la sua ragion d’essere e la rete di strade espresse che strutturano i contesti attraversati dotandosi a medie distanze di punti di interscambio ferro-gomma.
L’interesse per gli aspetti concettuali della sua attività inducono, dal 1962, Guido Canella a richiedergli dibattiti, incontri che si manifesteranno, da un lato, nella duratura collaborazione in importanti concorsi di progettazione (Centro Direzionale di Torino, nuova Sacca del Tronchetto a Venezia, Palazzo Municipale di Novara, ecc.) e dall’altra nell’ingresso di d’Angiolini alla Facoltà di Architettura di Milano, prima come “consulente esterno” del corso di Composizione del gruppo Ernesto N. Rogers, Guido Canella, Enrico Mantero, poi come assistente volontario di Piero Bottoni alla cattedra di Urbanistica.
Da questo periodo di sperimentazione infradisciplinare, di “doppio scambio” tra urbanisti e architetti sui temi del carcere, del teatro, dell’istruzione, ecc., prende completa forma l’idea di “progetto complessivo”, “progetto portatore di innovazione radicale” che si esplicita con vigore nel progetto per l’università della Calabria.
Guido Canella, già nel 1965, a proposito di d’Angiolini scriveva: “[…] mi parve appartenere a quel modo di fare cultura tutto attivo, incerto filo nella tradizione italiana, che in quello stesso campo (la scienza della città) lega Carlo Cattaneo a Giuseppe De Finetti, Giuseppe Samonà a pochi contemporanei”







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............alcune parole da me.........

 1975 incontrai Lucio a Milano nella faccolta di Archittetura.
Pieno di idee ma VUOTO di orientamento cercai di capire  tutto cio che mi martellava la testa spiegando mi come fare una citta piu UMANA, come trasformare il sistema Policentrico,come scegliere la tangenziale  giusta, sforzandomi in una lotta di informazioni mai seguita in vita mia.
Per lui non ero un studente straniero,non una persona indiferente.
Ero la sua famiglia mentale,il suo strumento di realizazione, Prendeva la nostra ignoranza e la trasformava in scienza.
Lucio Stellario d’Angiolini.....il mio professore.....


Una grande scusa per il mio Italiano.

Michael Balaroutsos
architect


























































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